Ibra, Gheddafi e quel folklore pericoloso
Panem et circenses dicevano nell’antica Roma. Ma la giornata riservata ieri agli italiani rientranti dalle ferie è stata una mitragliata allo stomaco dell’ex Belpaese. Uno show senza precedenti nel quale era difficile distinguere dove fosse il panem e chi fossero i circenses, con due protagonisti apparentemente lontanissimi, Zlatan Ibrahimovic e Mu’ammar Gheddafi, accomunati da una sottile linea oscura.
Il campione svedese è stato protagonista, nelle ultime 48 ore, di un vero e proprio reality che ha occupato le televisioni, i giornali e i siti internet. 104 milioni il costo totale dell’operazione (spalmati abilmente in 4 anni per non apparire troppo eccessivo in tempi di crisi – permettetemi di dubitare sui problemi di liquidità del Milan – ). Nel frattempo il dittatore libico, accolto dal maggiordomo di Berlusconia addetto alle onorificenze estere in occasione del secondo anniversario della firma del Trattato di amicizia Italia-Libia, consapevolmente si prendeva la scena politico-mediatica con il suo circo di hostess, amazzoni, guardie del corpo e colpi di teatro, fino a giungere a lanciare proclami degni del miglior seguace di Maometto: “L’Islam diventi la religione dell’Europa“. Una posizione rispettabilissima, se confinata alla sfera personale, ma di una violenza inaudita perchè fatta a Roma, a pochi passi da Città del Vaticano, in una fase economica che vede gli interessi del leader libico in Italia crescenti con importanti partecipazioni nelle nostre imprese (un do ut des a tutto vantaggio dell’Italia secondo i liberal a giorni alterni – quando non indossano le casacche verdi, chiaro – de Il Giornale), oltre ad un 7% di azioni in Unicredit.
L’apice dello show giunge nella serata di domenica quando, alla spettacolare presentazione rossonera di Ibra a San Siro dedicata all’Italia pallonara, presenzia il Presidente Berlusconi, soddisfatto dall’esibizione della propria ricchezza e dal riscontro pubblico, e debitamente a distanza dalle atmosfere libico-romane. Una ricerca del consenso dal sapore un po’ amarcord, ma anche pericoloso, che dallo stadio inevitabilmente vuole riflettersi nel resto del Paese. La conferma arriva dai microfoni di Controcampo, mantenuti abilmente da Pellegatti, quando il presidente – in avanzato stato di maoizzazione –, dopo 10 minuti di analisi tecnica del MIlan, dichiara sarcasticamaramente “l’ingratitudine fa parte delle masse”. Il link tra politica e calcio, inteso come sacrificio dei ludi gladiatorii agli imperatori dell’antica Roma, lo azzarda quasi sottovoce Giuseppe Cruciani, giornalista e conduttore del programma radiofonico di Radio24 “La Zanzara”, dagli studi di Controcampo, ricordando il recente calo di popolarità di Berlusconi e la necessità di consensi che dallo sport, trattandosi del presidente del Consiglio, sfociano inevitabilmente nella politica. Il ragionamento del giornalista viene, tanto abilmente quanto brutalmente, interrotto e censurato con un colpo da maestri dei media: un misterioso e inutile “flash” news e, per gradire, una striscia pubblicitaria dopo 10 minuti dalla precedente. Roba degna del miglior Putin. La Ibra mania, oltre all’effetto consensi, ha anche il merito, immediato, di distrarre la massa di italiani assetati di pallone dal circo romano-libico. Mentre il pubblico di San Siro si alzava in piedi ad applaudire il campione svedese esibito come un trofeo, l’Italia politica si inginocchiava davanti all’ingombrante presenza del colonnello Gheddafi, riservandogli uno spazio mediatico mai visto per altri leader (occidentali) nei tempi più recenti. Un messaggio che sembra essere giunto però ai destinatari. Il tutto avviene infatti nella stessa giornata in cui il Cardinale Bagnasco aveva auspicato la nascita di una “nuova classe politica cristiana nei fatti, non solo a parole”. Ogni allusione non è puramente casuale.
Pochi minuti dopo è il Tg1 minzoliniano a confermare il doppio fine. In un servizio degno della Corea del nord di Kim Jong-il vengono narrate le gesta capitoline del colonnello: Gheddafi mentre passeggia per il centro (bloccando, con le sue 15 auto al seguito, il traffico della Capitale), Gheddafi mentre sorseggia un’aranciata al bar, e intervista finale ad un cameriere gioioso per la lauta mancia (100 euro) ricevuta dall’entourage gheddafiano. Conclude l’approfondimento coranico: centinaia di hostess italiane per poche decine di euro costrette ad indossare il velo e ad imbracciare il Corano, alcune delle quali convertite all’Islam. Un’umiliazione per le donne italiane.
Qualcuno, arrivati a questo punto, sembra non scherzare, come pare di capire da questa sorta di film nel quale il regista mascherato ha infilato le sorti dell’Italia. Intanto si avvicina la scadenza dei titoli di stato italiani che, a questo punto, potrebbero regalarci nuovi padroni del nostro debito. Magari in cambio di 30 cavalli. Tutto ciò possiamo anche per comodità chiamarlo folklore, ma prepariamoci ad altri colpi di teatro da fine impero.
A.I.