Archive for the ‘ Internet ’ Category

Panacea

Questo blog ha contribuito al progetto della Commissione Europea PANACEA mettendo a disposizione dei ricercatori il proprio materiale scritto.

La ricerca ha come finalità lo sviluppo di nuove Language Technologies.

Il messia Jobs è morto: iPhone, iSad, iSlave

Ieri è morto un genio visionario. Prematuramente. Un innovatore, «l’ingegnere dei nostri sogni», che ha semplificato la vita di milioni di persone trasformando azioni meccaniche, ripetitive e faticose in app: Applications, Apply, App, Apple! Grazie a lui we don’t apply anymore. Se non dobbiamo più portare il peso di un libro nello zaino, se non dobbiamo fare la fatica mnemonica di ricordare la strada di questo o quel luogo, se non dobbiamo neanche più premere i tasti del nostro portatile perché per scorrere un menù o uno schermo basta un touch, lo dobbiamo a lui. Nel bene e nel male.

La giornata di ieri è stata scandita dal ricordo e dalla magnificazione mediatica di Steve Jobs e del sogno americano da lui incarnato. Tra le tante iniziative che abbiamo potuto osservare sulla stampa e sui giornali online quella del sito di Repubblica – che oggi, a più di 24 ore dalla morte di Jobs parla, giustamente, di cordoglio senza fine – è stata particolarmente interessante: il giornale ha pubblicato in un banner a scorrimento le frasi di commiato dei fan di Jobs. Tra i tanti messaggi superficiali, banali e ripetitivi, c’è stata una frase che mi ha colpito in modo particolare. L’unica capace di farmi veramente riflettere e soffermare in mezzo a questo magma ininterrotto di lutto digitale condiviso: «(Jobs, ndr) Ci hai reso schiavi dell’obsolescenza programmata». Una triste quanto consapevole ammissione.

Steve Jobs è considerato un eroe (Occidentale) perché è riuscito a rendere schiavi di un’azienda milioni di persone in tutto il mondo facendo sì che quei prodotti diventassero prima dei simboli di uno status quo, quindi dei beni di consumo dei quali non se ne potesse fare a meno. Prodotti oltretutto in rapido aggiornamento quindi soggetti ad un ciclo di vita (anti-economico) brevissimo.

Think different? L’opera di massificazione collettiva dei consumi di Jobs ha raggiunto la perfezione: il motto Apple ‘think different’ è un ossimoro se pensiamo che milioni di persone in tutto il mondo utilizzato gli stessi strumenti tecnologici forniti dalla Apple. «L’identificazione collettiva, che cominciò a diffondersi negli anni Ottanta ed è diventata un fenomeno di massa nell’ultimo decennio, scatta solo tra chi utilizza le tecnologie inventate da Jobs. Ma come ci si può identificare con i prodotti di un tecnologo?» si chiede su LINKIESTA Enrico Pedemonte.

Apple è passata in brevissimo tempo dalla diffusione di nicchia alla massificazione e al monopolio. L’azienda di Cupertino è andata alla conquista del mondo con delle perfette strategie di marketing: coniando nuovi neologismi (iPhone, iTunes, iPad e così via) studiati a tavolino, con prodotti presentati di volta in volta in maniera liturgica e resi riconoscibili come nessun altro competitor grazie al brand planetario; la mela morsicata come la mela del peccato originale. Steve Jobs come il nuovo messia morto di un mare incurabile come una persona qualunque, con un suo testamento (il discorso ai laureati di Stanford) e la diffusione in pillole del suo verbo ad opera dei suoi seguaci attraverso i social media. Gli iFans, tutti iSad. Una cosa pazzesca. Possiamo già immaginare il boom di vendite che i prodotti Apple avranno a partire da oggi.

Insomma, quello che il Cristianesimo era riuscito a plasmare e ad ottenere in 2 millenni di sostanziale predominio religioso l’hi-tech (e il marketing al servizio dell’hi-tech) lo ha reso possibile in qualche decennio: «Per Steve mi par quasi d’essere in lutto. Strane emozioni per un personaggio al contempo così vicino e così lontano» mi ha confessato un amico confermando, di fatto, il mio ragionamento.

Steve Jobs ha conquistato il mondo creando nei consumatori globali, attraverso il marketing, una dipendenza dai suoi prodotti, da questi beni di lusso (considerati i prezzi). Per questo – oltre che per i meriti relativi alle sue innegabili scoperte ingegneristiche – Steve Jobs oggi è osannato.

Qualcuno ha paragonato Jobs a Leonardo, per la capacità di inventare oggetti nuovi. Giustissimo. Ma Leonardo da Vinci non progettava beni di consumo per poi venderli su scala planetaria. Magari lo faceva su commissione del Vaticano, ma Leonardo inventava per l’umanità mentre Steve Jobs inventava prima per la sua azienda e poi (forse) per l’umanità.

India. In conclusione, per uno strano scherzo del destino, ieri è stato il giorno in cui il governo indiano ha presentato il primo tablet low cost. Un dispositivo ultraeconomico: il prezzo è di soli 35 dollari. Prezzo non fuori mercato ma anti-mercato. Nel giorno della morte dell’eroe americano Steve Jobs il vero insegnamento ci arriva dall’India. Libertà infatti è (anche) garantire a chiunque l’accessibilità ai beni di consumo e alle tecnologie. Esattamente l’effetto opposto ottenuto da chi crea a tavolino una dipendenza da prodotti, venduti a prezzi stellari, che in breve tempo diventano obsoleti.

A.I.

Passato il funerale, finita la santificazione a qualcuno non piace Jobs – DAGOSPIA

Perchè Steve Jobs non mi ha cambiato la vita – Il Foglio

Elezioni Napoli, quanto sono social i candidati?

Ad un mese e mezzo dalle elezioni amministrative i nove candidati alla guida del comune di Napoli sono alle prese con programmi, liste e primi comizi. Dopo questi primi giorni di campagna elettorale il sondaggio pubblicato ieri dal Corriere del Mezzogiorno ha illustrato uno scenario molto aperto, dove però non mancano già le prime sorprese.

Il Punto Magazine ha monitorato la campagna elettorale dei candidati sul social network più diffuso, Facebook. Comodo ed economico strumento di diffusione ma anche potenziale boomerang.

Il candidato Pdl Gianni Lettieri su Facebook ha 377 fan, il candidato del Pd Mario Morcone 303 fan, Clemente Mastella è seguito da 828 persone. Tutti molto distanti dai 1580 fan della pagina ufficiale di Luigi De Magistris sindaco, che batte anche uno dei paladini della rete, il candidato del Movimento 5 Stelle Roberto Fico il quale totalizza 704 fan. Solamente 53 persone seguono Raffaele di Monda, mentre Raimondo Pasquino, Carlo Taormina e Giuseppe Marziale, rispettivamente candidati di Terzo polo, Lega Italia e Sinistra Critica non pervenuti su Facebook.

Analizzando l’utilizzo della rete sociale da parte dei principali candidati alla guida del comune di Napoli è facile dedurre chi di loro crede in questi nuovi strumenti e nelle tecnologie e chi, invece, li snobba affidandosi alla “vecchia politica”.

La pagina di Clemente Mastella, ad esempio, sembra più un muro sul quale i suoi elettori linkano articoli più o meno interessanti, iniziative di partito, private o di associazioni. Non un post targato Mastella che sembra non avere un buon rapporto con il social network.

La pagina di Gianni Lettieri è decisamente più attiva, rispetto a quella del candidato Udeur, per quantità di messaggi postati. Sulla bacheca è infatti possibile osservare in anteprima i cartelloni che saranno affissi in giro per la città e alcune cartoline interattive. La pagina viene anche utilizzata per diffondere i punti del programma di governo per la città di Napoli e gli appuntamenti. Scarsa la partecipazione dei fan, aspetto che rende la pagina troppo autoreferenziale.

La pagina di Luigi De Magistris è senza dubbio la più attiva – forse fin troppo – per aggiornamenti e coinvolgimento diretto degli utenti iscritti. La bacheca viene aggiornata h24 con le proposte programmatiche, i comunicati, l’agenda degli appuntamenti pubblici e le videointerviste. Notevole l’interazione tra gli utenti, probabile conseguenza del coinvolgimento dei cittadini alla creazione partecipata del programma della lista civica che appoggerà l’europarlamentare.

La pagina ufficiale di Morcone si avvicina, vagamente, per il tipo di utilizzo, a quella di De Magistris: appuntamenti e comunicati hanno la meglio. Come per Lettieri il social network viene utilizzato molto per la diffusione dei manifesti elettorali, con la speranza che circolino viralmente. Peccato per gli slogan da cliché partenopei demodè (pensati dalla vendoliana Proforma e – forse – ispirati dalla campagna per l’epifania della celebre multinazionale americana della cioccolata). Quello che manca è l’entusiasmo dei fan. Interessante notare come il Pd, partito che appoggia la candidatura dell’ex prefetto, non venga quasi mai menzionato.

Quasi inutile monitorare i candidati sul secondo social network più diffuso, Twitter, dove, tra i nove candidati, hanno un profilo ufficiale solamente De Magistris, Gianni Lettieri e Morcone.

A.I.

da Il Punto Magazine

Social network ed energia: la Libia sarà l’Iraq di Obama versione 2.0? /1

In Libia gli Stati Uniti sono indecisi: intervento militare o non intervento militare. Ma perché mai gli Stati Uniti dovrebbero intervenire in un Paese nordafricano che non ha attaccato nessun altro stato, ed oltretutto a supporto dei ribelli? Semplicemente perché il colonnello Gheddafi snobba le richieste dei manifestanti che da giorni lottano per abbattere il regime? Non proprio. Gli interessi americani in quell’area ricca di giacimenti petroliferi e di gas sono, all’alba di una verosimile crisi energetica senza precedenti, il controllo di quei giacimenti petroliferi e di gas (Greenstream). In continuità con gli interessi che gli Usa avevano in Iraq e con quelli che hanno tuttora in Afghanistan. Materie prime, energia. Non c’è Obama che tenga alla continuità della politica estera americana che conosciamo dalla seconda guerra mondiale ad oggi. Ma da allora, e perfino dalla guerra in Afghanistan e dalle recenti rivoluzioni colorate dell’est Europa, gli strateghi americani hanno fatto un salto di qualità importante. La politica (diplomazia?) internazionale americana si è spostata su un altro livello, grazie al web e ai social network. Lo strumento della rete permette infatti all’amministrazione, o chi per essa, di scavalcare i governi e parlare direttamente alle popolazioni di Stati che hanno tutti (o quasi) in comune regimi dittatoriali (o non democratici) e una demografia giovane e  povera.

I social network servono a diffondere stili di vita occidentali, americani. Fanno assaporare il profumo della libertà a chi non ce l’ha. E, allo step successivo, permettono un controllo degli avvenimenti che può facilmente essere, se non manipolato, orchestrato da regie occidentali; dove oltretutto questi strumenti sociali sono stati creati: da Google a Facebook passando per Twitter. Tutti inventati negli Usa.

Hillary Clinton il 15 febbraio scorso ha affermato che «Internet è diventato lo spazio pubblico del XXI secolo» e che «le manifestazioni in Egitto e in Iran, alimentate da Facebook, Twitter e Youtube, dimostrano la potenza delle tecnologie di connessione come acceleratori del cambiamento politico, sociale ed economico». La Clinton ha quindi annunciato lo scongelamento di 25 milioni di dollari per sostenere dei progetti o la realizzazione di strumenti che agiscano in favore della libertà di espressione online e l’apertura di profili Twitter in cinese, russo e hindi dopo quelli in persiano e in arabo. D’altra parte le “complesse” relazioni tra il Dipartimento di Stato USA e Google sono molto intense. E il famoso motore di ricerca viene considerato come “un’arma della diplomazia USA”.

Diffondere un “virus” nelle popolazioni degli Stati scomodi attraverso internet, e servirsene per fini economico-militari, è senza dubbio una geniale arma non violenta a disposizione degli Stati Uniti. Non a caso prima in Iran, poi in Egitto e Libia, i regimi come prima autodifesa hanno spento i collegamenti web.

A.I.

da Il Punto Magazine

Social network ed energia: la Libia sarà l’Iraq di Obama versione 2.0? – seconda parte

Wikileaks, Usa: in Italia a rischio libertà di internet

Nella giornata in cui si è assistito alla misteriosa chiusura della pagina Facebook del Popolo Viola – il movimento che lo scorso anni organizzò in rete il No-B Day portando in piazza un milione di persone –, e alla sua riapertura a tempo di record grazie alla mobilitazione della stessa rete, ecco giungere la pubblicazione di un nuovo cable targato Wikileaks avente ad oggetto la minaccia della libertà della rete in Italia.

Il file risale al dicembre 2009. Si tratta di un report che l’ambasciatore statunitense a Roma, David Thorne, invia al governo americano. Nel documento, diffuso ieri dal quotidiano spagnolo El Pais, si legge la preoccupazione espressa dall’ambasciatore nei confronti dellla legge sulla regolamentazione di Internet, il decreto Romani che il governo italiano si apprestava ad approvare: “Un decreto che sembra essere stato scritto per dare al governo abbastanza margine d’azione per bloccare o censurare qualsiasi contenuto in Rete”.

Minaccia considerata da Thorne un possibile precedente che “nazioni come la Cina potrebbero copiare o addurre come giustificazione per i loro stessi provvedimenti restrittivi della libera espressione”. In un altro cable si legge che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi “sente il bisogno di controlli meglio calibrati per prevenire gli usi più estremi dei nuovi media, e in particolare di Facebook. Proprio il social network più diffuso al mondo, nel 2009, aveva irritato il governo italiano permettendo la realizzazione del No Berlusconi Day”. L’ambasciatore conclude quindi il cablogramma sostenendo che “le elitè tradizionali italiane sono preoccupate dall’abilità di internet di bypassare i media tradizionali che loro controllano“.

Alessandro Ingegno

da Il Punto Magazine