Posts Tagged ‘ Italia ’

Robot e AI alla sfida della coesistenza con l’essere umano

Le nuove tecnologie faranno perdere più posti di lavoro di quanti ne creeranno? Delegare il lavoro ai sistemi automatizzati, alla ricerca del comfort e della non partecipazione al processo di produzione, può portarci all’insensatezza

Nel corso di un evento TEDx tenutosi nella primavera 2023 a Vancouver, tra i vari temi si è discusso di intelligenza artificiale. I partecipanti erano perfettamente divisi tra pessimisti e ottimisti sull’uso dell’AI.

Dopo la conferenza di apertura del 2023, il CEO di IBM, Krishna Arvind, ha annunciato che 8000 posti di lavoro ricoperti da esseri umani erano stati messi in stand-by nonostante la sostituzione con sistemi di intelligenza artificiale offra molteplici vantaggi alle imprese. Nella situazione attuale la decisione dell’impresa privata ha rappresentato un atto di volontà politica. Si tratta infatti del primo sviluppatore che ha ammesso che alla base della rivoluzione tecnologica c’è una bomba ad orologeria etico-sociale. L’orologio sta ticchettando. Il primo segnale rosso di pericolo è stato dato al mercato del lavoro. Ora è diventato chiaro che questa non è una sfida del futuro ma un dilemma del presente. Già oggi, ogni azienda affronta lo stesso dilemma se vuole vincere la sfida della competitività. Ma è ancor più importante per l’umanità non perdere la partita. Ci sono persone su entrambi i lati del sistema, che siano oppositori o apostati. Guardando più in profondità, dietro il rischio di una disoccupazione su larga scala si nascondono processi più complessi che colpiscono la volontà umana.

La sfida è perciò duplice perché da un lato propone le esigenze di sviluppo del progresso e di competitività, dall’altro l’importanza esistenziale di non perdere l’essenza dell’umanità. E questa doppia sfida si riflette nella spaccatura tra sostenitori e scettici che si era materializzata molto chiaramente alla conferenza TEDx. Un’analisi della situazione attuale può aiutare, perciò, a vedere che dietro il rischio di disoccupazione su larga scala ci sono processi più complessi legati alla volontà umana.

Dove l’intelligenza artificiale sostituisce l’essere umano

Quando la questione dell’impatto dell’implementazione degli algoritmi sul mercato del lavoro viene affrontata in vari incontri sull’IT e conferenze, si possono quasi sempre sentire lo stesso tipo di risposte. Spesso gli oratori citano come esempio la scomparsa della professione di lampionaio, con l’invenzione dell’elettricità, o di cocchiere, con l’avvento dell’automobile. Sì, in effetti, i tassisti e gli stallieri di ieri alla fine si sono riqualificati come conducenti, e la produzione e la manutenzione delle auto hanno fatto nascere molteplici nuove figure professionali specializzate.

In molti casi, lo stesso processo può essere ipotizzato alla realtà attuale in merito all’avvento dell’intelligenza artificiale. Per sviluppare un progetto per un drone servono circa 20 professionisti, tra sviluppatori e ingegneri, ma una volta chiuso il development bastano pochi addetti per farlo funzionare. Il più grande produttore di droni al mondo ha attualmente circa 3.500 dipendenti che si occupano di ricerca & sviluppo.

Altro esempio, una nota azienda automobilistica giapponese fornisce più di 360mila posti di lavoro, e proprio l’industria manifatturiera dell’auto è una delle prime che sta testando diverse tecnologie per l’ottimizzazione. Uber ha 3,5 milioni di conducenti in tutto il mondo. Possiamo immaginare l’impatto socioeconomico dell’avvento dei veicoli autonomi nel mercato di massa, in una nazione come l’Italia dove ci sono più di un milione di famiglie il cui reddito dipende dall’impiego nell’industria dei trasporti.

Tuttavia, non dobbiamo dimenticare l’impatto positivo delle innovazioni.

A questo punto bisognerebbe fare affidamento sulla scientificità dei dati per analizzare il fenomeno nel suo complesso, ma trattandosi di un fenomeno nuovo i dati a disposizione sull’intelligenza artificiale sono ancora pochi e disomogenei a livello internazionale. Questo riflette, in primo luogo, il fatto che le industrie sono nella fase iniziale della transizione.

Le aziende e l’intelligenza artificiale

Per comprendere e analizzare il trend bisogna quindi fare riferimento all’esperienza di grandi aziende globali: BuzzFeed ha licenziato il 12% della sua forza lavoro, ovvero circa 180 collaboratori. Alla fine del 2022 Amazon ha sostituito circa 18mila persone in lavori aziendali e tecnologici. Il gigante della vendita al dettaglio online ha ora 200mila robot in funzione nei suoi magazzini negli Stati Uniti, secondo un rapporto pubblicato da Associated Press. Le macchine e i robot della produzione Siemens ad Amberg gestiscono oltre il 75% della value chain. In secondo luogo, non esistono rapporti dettagliati e affidabili sull’implementazione dell’AI nelle imprese per nazione. Esistono valutazioni di singole agenzie, che spesso si basano sulle opinioni di esperti e non su dati accurati. Il motivo è lo stesso, il mercato è in una fase di trasformazione. In terzo luogo, l’industria dell’intelligenza artificiale è oggi la più attraente per gli investimenti, quindi c’è una grande tentazione ad abbellire i numeri.

Il “The Future of Jobs Report 2020” del World Economic Forum prevede che l’AI sostituirà 85 milioni di posti di lavoro a livello globale entro il 2025. Lo stesso Rapporto indica, inoltre, che l’intelligenza artificiale potrebbe creare 97 milioni di nuovi ruoli professionali. Ma il framework non è specificato. Il lavoro di congettura diventa non razionale quando il mondo corre a velocità non umane. Dopotutto, 15 anni fa, non c’era nessuno che potesse prevedere il declino della principale società di comunicazioni Nokia. Inoltre, in un’epoca di iperdigitalizzazione, la consapevolezza di sé dovrebbe essere la migliore delle hard skill. A volte, guardarsi intorno fornisce più informazioni di qualsiasi report.

COMPRA IL LIBRO

L’intelligenza artificiale come assistente virtuale

Basta guardarsi in giro: quante volte, quando si contatta un ​​call center di una banca, di una compagnia aerea, di un operatore o di un servizio pubblico, ci risponde una voce robotica? E quale cassa si tende a preferire all’uscita dal supermercato o quando ordiniamo al fast food, una macchina self-service o una persona in carne e ossa? Hai provato a preparare un testo su GPT o a generare immagini usando Lensa? Si noti che tutti questi sviluppi dell’intelligenza artificiale sono diventati ampiamente disponibili, uno dopo l’altro, negli ultimi anni e persino mesi. Le fasi precedenti del progresso tecnologico come il motore a vapore, l’elettricità o le automobili prodotte in serie hanno richiesto secoli.

Sulla base delle industrie sopra menzionate, è possibile ipotizzare un elenco di professioni che scompariranno o saranno costrette ad evolversi. Tra queste ci sono i cassieri, gli impiegati di vendita al dettaglio e back office, i commercianti, i commercialisti e gli avvocati aziendali, i designer, i copywriter e gli autori in generale. Se ne sono accorti perfino nel mondo artificiale per eccellenza di Hollywood colpito da scioperi degli sceneggiatori che temono di essere soppiantati dall’AI. Anche il futuro del lavoro di autista è un punto interrogativo perché non esistono ancora giurisdizioni in merito: USA, Russia e Cina hanno cominciato a lavorare a un quadro normativo, ma ancora per aree sperimentali, non generali. In Unione Europea invece il tema sembra non essere ancora in agenda. Nel frattempo, però, i veicoli a guida autonoma vengono rilasciati e senza un’analisi approfondita e una comprensione adeguatamente chiara della situazione il danno in termini sociali può essere enorme.

Questo elenco copre un ampio bacino di professioni. Secondo i dati 2020 del CEDEFOP circa l’11% della popolazione attiva è coinvolta nel commercio al dettaglio, il 19% nella produzione manifatturiera. Se includiamo l’industria delle arti, quella bancaria, i posti di lavoro governativi e il settore dei trasporti arriviamo ad oltre il 50%.

Pianificare per gestire l’impatto dell’AI

Qui entrano in gioco i programmi di riqualificazione professionale per affrontare e indirizzare l’impatto dell’implementazione dell’intelligenza artificiale: allo stato attuale sono semplicemente inesistenti. Si preferisce non parlarne nella speranza che questo processo avvenga da solo?

Allo stato attuale nessuna nazione sta lavorando a piani di riqualificazione professionale per il prossimo futuro. Sembra che la posizione della società non abbia ancora rappresentanti sul tema dell’Intelligenza artificiale. Gli sviluppatori sono semplicemente affascinati dal progresso, il business è orientato al vantaggio competitivo e gli Stati ne stanno alla larga perché il tema non è all’ordine del giorno. La società divisa, assorbita profondamente dalle nuove tecnologie, difende con entusiasmo interessi di nicchia. L’umanità ha trovato il modo di modulare i sistemi chirurgici robotici o progettare smart city, ma non riesce a trovare un valido motivo per effettuare per analisi matematiche sulle conseguenze della sostituzione dei robot.

Per ChatGPT ci sono voluti meno di pochi secondi per restituire un risultato delle professioni che diventeranno obsolete, e l’elenco si avvicina molto a quello che abbiamo fornito sopra. Se si lascia tutto al caso, gli outsider potranno un giorno creare qualche propria startup pericolosa. La buona notizia è che tra gli specialisti IT ci sono alcuni temerari. Ma il punto non è nemmeno che la robotizzazione può diffondere la disoccupazione di massa e portare di conseguenza all’impoverimento della popolazione. Reddito di base e strumenti di welfare possono essere una soluzione nel breve periodo. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. L’umanità ha avviato il progresso tecnologico per migliorare la vita umana. Le tecnologie allungano la vita, la migliorano in alcuni punti, ma la destabilizzano. Sembra che ormai siamo arrivati ​​al punto in cui la psicologia dell’esistenza sta cambiando e dovremmo chiederci: “perché continuiamo?”

Evitare il fallimento della coesistenza umano-robot

Ora è il momento di tornare al punto di partenza e fornire un breve excursus filosofico sul ruolo del potere nella natura umana. Torniamo alla storia. Spinoza considerava il potere come la volontà. Pochi secoli dopo il brutale attivista Kaczynski, attraverso la sua ricerca analitica, ridefinì la comprensione della volontà come processo del potere. Per fare un esempio pratico, possiamo facilmente immaginare le differenti sensazioni quando, per salire su un monte per godere di un paesaggio, decidiamo di raggiungerlo a piedi o in funicolare. In entrambi i casi ci si godrà il panorama, ma i livelli di soddisfazione sono profondamente diversi. A causare l’effetto della disfunzione della dopamina c’è la mancanza degli obiettivi il cui raggiungimento richiede sforzi reali. Questo per dire che gli esseri umani hanno bisogno di far parte del processo, e questo deriva dalla natura biologica.

Lo psicologo David McClelland ha enfatizzato il bisogno di potere descrivendolo come il desiderio di controllare il processo per raggiungere gli obiettivi più elevati.

Il potere senza partecipazione al processo è un elemento decorativo. Quindi, possiamo semplicemente riconoscere che escludendo un essere umano dal processo di produzione ci priviamo del potere. Delegare il lavoro ai sistemi di intelligenza artificiale attraverso la ricerca del comfort e la non partecipazione al processo di produzione può portarci all’insensatezza.

A questo punto possiamo concludere che la facilitazione creata dalla rivoluzione tecnologica ci porta alla rivoluzione etica. Questo non significa interrompere il processo di implementazione dell’intelligenza artificiale nella vita quotidiana. Significa però che è necessario un quadro normativo di applicazione dell’Intelligenza artificiale, e una vera discussione pubblica a livello nazionale e globale, che sia finalizzata all’impostazione di soluzioni alle più che probabili conseguenze sulla società della diffusione dell’Intelligenza artificiale. E questo è nell’interesse di tutte le parti interessate: cittadini, legislatori, imprese, lavoratori. Gli sviluppatori si proteggono dai rischi. Se la società rifiuterà l’innovazione, il progetto sarà destinato a fallire perciò solo attraverso un coinvolgimento nel processo di deliberazione verrà ripristinato il controllo del potere evitando un fallimento della coesistenza essere umano-robot.

AI4Business

Pompei, una lezione inglese

Secondo un recente studio Eurostat l’Italia è il Paese Ue che investe di meno in cultura. Per la cultura, infatti, l’Italia spende solo il 1,1% della spesa pubblica, lasciandosi superare dal resto d’Europa, compresa la Grecia (1,2%). Insomma siamo in pieno suicidio culturale, oltre che turistico.

Se però guardiamo oltre i nostri confini scopriamo però che c’è chi apprezza, scommette e sfrutta la nostra cultura. Mi riferisco a miniera archeologica che rappresenta Pompei. Quella stessa Pompei che negli ultimi anni è balzata alle cronache più per i continui crolli e lo stato di abbandono in cui versa che per il numero di turisti attratti dall’area archeologica.

Bene, su Pompei e sull’eruzione del 79 d.C. –  quindi sul nostro Patrimonio culturale, sulle nostre radici – ha deciso di investire il British Museum di Londra dedicando l’esposizione temporanea ‘Life and death Pompeii and Herculaneum’, nel periodo marzo – settembre 2013, all’area vesuviana di Pompei ed Ercolano. Il più grande evento sul tema che si tiene a Londra da quarant’anni a questa parte, con oltre 250 reperti. Alcuni dei quali mai esposti in Italia in precedenza!

Immagine

A giudicare dal successo delle prime settimane di esposizione si tratta di un’operazione di mecenatismo che frutterà molto al British Museum, ma che avrà la sua ricaduta indiretta anche sull’area vesuviana dove, nelle ultime settimane, è già stato registrato un incremento del turismo.

Un palliativo, senza dubbio. Che però ci può svelare qualche trucchetto di marketing.

Il British Museum infatti ha lanciato l’esposizione da poco più di 2 settimane e, casualmente, è notizia di pochi giorni fa la scoperta di una città sotterranea, l’antica londinium, che è stata rinominata subito in modo a dir poco evocativo la ‘Pompei del nord’.

Ma la ciliegina sulla torta è l’aver veicolato il marchio Pompei in modo virale attraverso la musica, con la complicità della band inglese Bastille. Il gruppo londinese proprio in questa settimane sta scalando la vetta delle classifiche con un successo internazionale molto orecchiabile dal titolo, indovinate un po’… Pompeii!

Pochi giorni fa i due successi artistico-culturali si sono fusi in un unico grande super spot: la band Bastille ha infatti suonato il successo Pompeii in versione unplugged all’interno di una delle sale del British Museum dove ha luogo l’esposizione. Chapeau!

 Che dire, una lezione di marketing e di investimento degna dei migliori mecenati del rinascimento italiano. Gli inglesi evidentemente oltre alle principali strategie di marketing hanno studiato il Rinascimento italiano. Nel frattempo noi eravamo occupati a dimenticare le nostre origini affossando gli investimenti in istruzione e cultura.

Questo è il commento del Ministro per la Coesione Territoriale Fabrizio Barca in merito al post. Come sappiamo Barca dall’inizio del suo incarico ha preso particolarmente a cuore la questione del rilancio di Pompei:

A.I.

Il terremoto in Emilia e le vittime di serie b

Sul web ho recuperato questo articolo di Akosua Adu, caporedattore di Ghana-Italia News, un network che raccoglie le storie dei cittadini Ghanesi residenti in Italia con l’obiettivo di diffondere le loro voci in Africa e nel mondo. L’articolo in questione, relativo al post-terremoto in Emilia e più in generale al trattamento che l’Italia riserva agli immigrati, dipinge una società ancora oggi, nel 2012, chiusa e immatura (se non in fase regressiva) di fronte alla trasformazione multirazziale del suo tessuto sociale.

“Era stata la mia osservazione sin dai primi anni del mio soggiorno in Italia (oggi 23), ovvero che quando in Italia avviene un disastro come quello che ha colpito l’Emilia Romagna in queste settimane puntualmente la condizione dei cittadini stranieri in Italia non viene presentata come dovrebbe. E’ come se la condizione dei cittadini stranieri cadesse nell’oblio. L’etichetta di cittadini di seconda classe è impressa in ogni aspetto della vita di un immigrato e di ogni lavoratore immigrato. E in momenti come questi, spesso mi chiedo: «Non può essere possibile che non vi fosse nessun africano o ghanese che viveva a l’Aquila al momento del disastro del terremoto nel 2009, e ancora non è possibile che nulla è stato detto sulle condizioni dei migranti quando la terra ha tremato nel mese di maggio 2012. Non è possibile perché la regione Emilia Romagna ospita gran parte della comunità ghanese, da cui molte chiese sono state fondate. Ma, in fondo, perché questo dovrebbe essere strano per me. Non accade spesso che, quando si entra in un ufficio, pubblico o privato, lo status quo vuole che la solita domanda che venga fatta sia: «Parli italiano?». Mi ricordo bene una volta che entrai in un tabaccaio per inviare un documento via fax. Mentre entravo nel negozio l’addetto alle pulizie mi fermò all’ingresso e mi “offrì aiuto” dicendomi «mi dispiace ma non si possono inviare documenti per fax all’estero». Rientrando a casa dopo una lunga giornata di lavoro pensai che quell’uomo poteva vivere nella sua ignoranza. Questo perché avrebbe come minimo dovuto aspettare che io gli chiedessi aiuto.

Le cose non sono cambiate, perché per ora sembra che l’italiano medio e il governo non possono ancora fare questo, ci sono altri cittadini italiani che sono di colore diverso. Per loro, l’immigrazione è uguale alla criminalità o alla cittadinanza di seconda classe… Vi sono innumerevoli storie della seconda generazione che mostrano come alcune di queste persone devono subire l’umiliazione di essere visti come ladri quando entrano nei supermercati e di chi deve passare attraverso il calvario di imbarazzanti mandati di perquisizione.

Queste storie non vengono mai alla luce perché sono per lo più adulterate dai media. Oh Italia! Quando ti sveglierai dal tuo stupore ubriaco per riconoscere che tra i neri e tra coloro che consideri cittadini stranieri sono in realtà Afro-Italiani, Arabi-Italiani e il resto…

Adesso capisco perché il Ghana-Italia News è di grande importanza. Perché mostra il migrante o afro-italiano e accende i riflettori sulla loro condizione, come abbiamo fatto per Aglow delle donne in Italia e come continuiamo a fare. Questa è la nostra visione.

Un giorno dopo il terremoto desideravo visitare le vittime migranti e africane e pubblicare la loro storia ed ero stato così eccitato che Rev Martha era in prima linea. Non è tutto degli italiani, ma anche degli afro-italiani, o di coloro che hanno acquisito la cittadinanza, ma sono di colore diverso. Le nostre tasse, i nostri contributi socio-economici e religiosi hanno contribuito allo sviluppo del paese. Tra le 15.000 persone che ora sono senza casa e bisognosi di aiuto vi sono i nostri compagni ghanesi e di altri popoli africani e tra coloro che sono morti sul posto di lavoro vi erano cittadini stranieri (tra loro vi era un lavoratore del Marocco che forse aveva preso il posto di un italiano che non desiderava fare il turno di notte). Queste sono le persone che hanno perso la vita quando è avvenuto il sisma e alle loro famiglie auguriamo il meglio e facciamo le nostre condoglianze. Per nostri fratelli africani e cittadini ghanesi che hanno dovuto lottare prima di poter avere una tenda, condividiamo il loro dolore”.

AA, Caporedattore di Ghana-Italia News Network

 Fuggono gli stranieri che lavorano – Il Giornale

Emilia, clandestini da sisma – L43

Crisi, a Napoli cambiano gli stili di vita: il fenomeno del Ticket crossing

Con la recessione cominciano a cambiare gli stili di vita, anche a Napoli. In città i campanelli d’allarme, nella vita di tutti i giorni, non mancano. Uno di questi è un’usanza che, pur sfuggendo alle rilevazioni e alle statistiche, si sta diffondendo sottotraccia: stiamo parlando del Ticket crossing ovvero il passaggio di un titolo di viaggio da un passeggero ad un altro. Una donazione, nella maggior parte indotta dal beneficiario.

A Napoli quello del Ticket crossing è un fenomeno che ha subito un’impennata dopo il rincaro, seppur minimo, del prezzo dei titoli di viaggio appartenenti al circuito Unico – prezzo che, nonostante l’aumento, rimane lontano dalle tariffe prevista a Milano o Capri, per fare due esempi –. La pratica è più diffusa nelle zone periferiche senza particolari accentuazioni demografiche. Donne e uomini, giovani e anziani, italiani e stranieri, meno abbienti e insospettabili: fuori alle stazioni della metropolitana, in attesa di un donatore disposto a cedere il proprio ticket, può capitare di trovare chiunque.

Come conferma un agente di stazione della Linea 1 di Metronapoli «negli ultimi mesi i passaggi di biglietti tra utenti sono aumentati. Così come sono aumentate le persone che attendono, fuori dalle stazioni, qualche passeggero in uscita disposto a cedere il proprio titolo di viaggio». Sono per lo più giovani, dichiara l’agente, «ma spesso capita di vedere anziani – clochard e non -, immigrati, uomini e donne di mezza età. Italiani. E chissà quanti altri passaggi sfuggono alla nostra vista». Insomma, il Ticket crossing non è una peculiarità delle fasce notoriamente più deboli.

Rispetto al passato non siamo più di fronte alla piaga dell’evasione – comunque presente – e nemmeno alla disobbedienza civile contro il caro-biglietto: il Ticket crossing è un fenomeno di solidarietà anticrisi che si sta diffondendo a macchia d’olio. In città come Genova, per esempio, esistono dei veri e propri Ticket crossing points mappati su internet. Questo perché, mentre l’uso del trasporto pubblico consente, a parità di distanza, un risparmio rispetto all’utilizzo dell’automobile, con il Ticket crossing il costo è pari a zero; e non si commette alcun reato.

Metronapoli fa sapere che «esiste una task force che si occupa di controllare l’evasione ma il Ticket crossing è un fenomeno che sfugge alle rilevazioni. È sicuramente un campanello d’allarme che la dice lunga sullo stato di depressione economica che viviamo in città. E’ evidente – ammette Gilda Donadio – che si tratta di un fenomeno che ha a che fare con le problematiche sociali. Per quanto riguarda Metronapoli però noi non ne patiamo».

In tempi di crisi evidentemente ognuno taglia dove può, ma anche le istituzioni possono dare un contributo: la proposta di introdurre il biglietto Unico low cost (50 cent per 20 minuti) – inserita nel programma sulla mobilità cittadina del sindaco de Magistris – potrebbe rivelarsi uno strumento utile ad arginare il fenomeno.

A.I.

 

Costituzione Day, le piazze d’Italia a difesa della Carta

Centinaia di migliaia di persone in piazza in tutta Italia e anche all’estero per il “C-day”, la giornata di mobilitazione a difesa della Costituzione e della scuola. «Abbiamo fatto un stima e possiamo dire di essere un milione di manifestanti ad essere scesi nelle piazze oggi comprese anche quelle delle città estere, in difesa della nostra Costituzione», hanno fanno sapere dall’associazione Articoli 21 e Libertà e Giustizia, promotori della mobilitazione.

Torino. Nonostante la pioggia circa 2mila persone hanno manifestato oggi per difendere la Costituzione in una Torino vestita a festa per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia: partiti, associazioni ambientaliste (Eco dalle Città e No Grat), comitato Se Non Ora Quando, Anpi, Movimento 5 Stelle e tanti cittadini comuni hanno riempito piazza Castello. In piazza anche l’Orchestra del Teatro Regio – il teatro a rischio chiusura a causa del taglio dei fondi –, che ha suonato l’inno di Mameli in onore della Costituzione.

leggi tutto