Scansatevi dalla luce (blu), guida alla gestione tecnologica

In tempi di Intelligenza artificiale generativa e di algoritmi addestrati per conoscerci sempre più approfonditamente, l’essere umano è come sopraffatto da distrazioni sotto forma di notifiche, suoni e pop-up.

Prendendo spunto da un articolo de Il Sole 24 Ore si consiglia la lettura del libro di James Williams Scansatevi dalla luce. Libertà e resistenza digitale.

Un saggio che analizza come l’abbondanza di tecnologie digitali, attraverso un sovraccarico di informazioni, renda la nostra attenzione una vera risorsa scarsa che le tecnologie competono per catturare. Il risultato sono una serie continua di ‘distrazioni’ che lavorano per minare l’integrità della volontà umana, sia a livello individuale che a livello collettivo, che l’autore usa per coniare la definizione di Economia dell’attenzione.

Mescolando gli insegnamenti giunti a noi dall’antica Grecia e quelle contemporanee della Silicon Valley, il libro di Williams è un’analisi ragionata su un aspetto cruciale dell’epoca in cui viviamo che aprirà sviluppi interessanti per gli studi e lo sviluppo della cosiddetta economia dell’attenzione.

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Robot e AI alla sfida della coesistenza con l’essere umano

Le nuove tecnologie faranno perdere più posti di lavoro di quanti ne creeranno? Delegare il lavoro ai sistemi automatizzati, alla ricerca del comfort e della non partecipazione al processo di produzione, può portarci all’insensatezza

Nel corso di un evento TEDx tenutosi nella primavera 2023 a Vancouver, tra i vari temi si è discusso di intelligenza artificiale. I partecipanti erano perfettamente divisi tra pessimisti e ottimisti sull’uso dell’AI.

Dopo la conferenza di apertura del 2023, il CEO di IBM, Krishna Arvind, ha annunciato che 8000 posti di lavoro ricoperti da esseri umani erano stati messi in stand-by nonostante la sostituzione con sistemi di intelligenza artificiale offra molteplici vantaggi alle imprese. Nella situazione attuale la decisione dell’impresa privata ha rappresentato un atto di volontà politica. Si tratta infatti del primo sviluppatore che ha ammesso che alla base della rivoluzione tecnologica c’è una bomba ad orologeria etico-sociale. L’orologio sta ticchettando. Il primo segnale rosso di pericolo è stato dato al mercato del lavoro. Ora è diventato chiaro che questa non è una sfida del futuro ma un dilemma del presente. Già oggi, ogni azienda affronta lo stesso dilemma se vuole vincere la sfida della competitività. Ma è ancor più importante per l’umanità non perdere la partita. Ci sono persone su entrambi i lati del sistema, che siano oppositori o apostati. Guardando più in profondità, dietro il rischio di una disoccupazione su larga scala si nascondono processi più complessi che colpiscono la volontà umana.

La sfida è perciò duplice perché da un lato propone le esigenze di sviluppo del progresso e di competitività, dall’altro l’importanza esistenziale di non perdere l’essenza dell’umanità. E questa doppia sfida si riflette nella spaccatura tra sostenitori e scettici che si era materializzata molto chiaramente alla conferenza TEDx. Un’analisi della situazione attuale può aiutare, perciò, a vedere che dietro il rischio di disoccupazione su larga scala ci sono processi più complessi legati alla volontà umana.

Dove l’intelligenza artificiale sostituisce l’essere umano

Quando la questione dell’impatto dell’implementazione degli algoritmi sul mercato del lavoro viene affrontata in vari incontri sull’IT e conferenze, si possono quasi sempre sentire lo stesso tipo di risposte. Spesso gli oratori citano come esempio la scomparsa della professione di lampionaio, con l’invenzione dell’elettricità, o di cocchiere, con l’avvento dell’automobile. Sì, in effetti, i tassisti e gli stallieri di ieri alla fine si sono riqualificati come conducenti, e la produzione e la manutenzione delle auto hanno fatto nascere molteplici nuove figure professionali specializzate.

In molti casi, lo stesso processo può essere ipotizzato alla realtà attuale in merito all’avvento dell’intelligenza artificiale. Per sviluppare un progetto per un drone servono circa 20 professionisti, tra sviluppatori e ingegneri, ma una volta chiuso il development bastano pochi addetti per farlo funzionare. Il più grande produttore di droni al mondo ha attualmente circa 3.500 dipendenti che si occupano di ricerca & sviluppo.

Altro esempio, una nota azienda automobilistica giapponese fornisce più di 360mila posti di lavoro, e proprio l’industria manifatturiera dell’auto è una delle prime che sta testando diverse tecnologie per l’ottimizzazione. Uber ha 3,5 milioni di conducenti in tutto il mondo. Possiamo immaginare l’impatto socioeconomico dell’avvento dei veicoli autonomi nel mercato di massa, in una nazione come l’Italia dove ci sono più di un milione di famiglie il cui reddito dipende dall’impiego nell’industria dei trasporti.

Tuttavia, non dobbiamo dimenticare l’impatto positivo delle innovazioni.

A questo punto bisognerebbe fare affidamento sulla scientificità dei dati per analizzare il fenomeno nel suo complesso, ma trattandosi di un fenomeno nuovo i dati a disposizione sull’intelligenza artificiale sono ancora pochi e disomogenei a livello internazionale. Questo riflette, in primo luogo, il fatto che le industrie sono nella fase iniziale della transizione.

Le aziende e l’intelligenza artificiale

Per comprendere e analizzare il trend bisogna quindi fare riferimento all’esperienza di grandi aziende globali: BuzzFeed ha licenziato il 12% della sua forza lavoro, ovvero circa 180 collaboratori. Alla fine del 2022 Amazon ha sostituito circa 18mila persone in lavori aziendali e tecnologici. Il gigante della vendita al dettaglio online ha ora 200mila robot in funzione nei suoi magazzini negli Stati Uniti, secondo un rapporto pubblicato da Associated Press. Le macchine e i robot della produzione Siemens ad Amberg gestiscono oltre il 75% della value chain. In secondo luogo, non esistono rapporti dettagliati e affidabili sull’implementazione dell’AI nelle imprese per nazione. Esistono valutazioni di singole agenzie, che spesso si basano sulle opinioni di esperti e non su dati accurati. Il motivo è lo stesso, il mercato è in una fase di trasformazione. In terzo luogo, l’industria dell’intelligenza artificiale è oggi la più attraente per gli investimenti, quindi c’è una grande tentazione ad abbellire i numeri.

Il “The Future of Jobs Report 2020” del World Economic Forum prevede che l’AI sostituirà 85 milioni di posti di lavoro a livello globale entro il 2025. Lo stesso Rapporto indica, inoltre, che l’intelligenza artificiale potrebbe creare 97 milioni di nuovi ruoli professionali. Ma il framework non è specificato. Il lavoro di congettura diventa non razionale quando il mondo corre a velocità non umane. Dopotutto, 15 anni fa, non c’era nessuno che potesse prevedere il declino della principale società di comunicazioni Nokia. Inoltre, in un’epoca di iperdigitalizzazione, la consapevolezza di sé dovrebbe essere la migliore delle hard skill. A volte, guardarsi intorno fornisce più informazioni di qualsiasi report.

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L’intelligenza artificiale come assistente virtuale

Basta guardarsi in giro: quante volte, quando si contatta un ​​call center di una banca, di una compagnia aerea, di un operatore o di un servizio pubblico, ci risponde una voce robotica? E quale cassa si tende a preferire all’uscita dal supermercato o quando ordiniamo al fast food, una macchina self-service o una persona in carne e ossa? Hai provato a preparare un testo su GPT o a generare immagini usando Lensa? Si noti che tutti questi sviluppi dell’intelligenza artificiale sono diventati ampiamente disponibili, uno dopo l’altro, negli ultimi anni e persino mesi. Le fasi precedenti del progresso tecnologico come il motore a vapore, l’elettricità o le automobili prodotte in serie hanno richiesto secoli.

Sulla base delle industrie sopra menzionate, è possibile ipotizzare un elenco di professioni che scompariranno o saranno costrette ad evolversi. Tra queste ci sono i cassieri, gli impiegati di vendita al dettaglio e back office, i commercianti, i commercialisti e gli avvocati aziendali, i designer, i copywriter e gli autori in generale. Se ne sono accorti perfino nel mondo artificiale per eccellenza di Hollywood colpito da scioperi degli sceneggiatori che temono di essere soppiantati dall’AI. Anche il futuro del lavoro di autista è un punto interrogativo perché non esistono ancora giurisdizioni in merito: USA, Russia e Cina hanno cominciato a lavorare a un quadro normativo, ma ancora per aree sperimentali, non generali. In Unione Europea invece il tema sembra non essere ancora in agenda. Nel frattempo, però, i veicoli a guida autonoma vengono rilasciati e senza un’analisi approfondita e una comprensione adeguatamente chiara della situazione il danno in termini sociali può essere enorme.

Questo elenco copre un ampio bacino di professioni. Secondo i dati 2020 del CEDEFOP circa l’11% della popolazione attiva è coinvolta nel commercio al dettaglio, il 19% nella produzione manifatturiera. Se includiamo l’industria delle arti, quella bancaria, i posti di lavoro governativi e il settore dei trasporti arriviamo ad oltre il 50%.

Pianificare per gestire l’impatto dell’AI

Qui entrano in gioco i programmi di riqualificazione professionale per affrontare e indirizzare l’impatto dell’implementazione dell’intelligenza artificiale: allo stato attuale sono semplicemente inesistenti. Si preferisce non parlarne nella speranza che questo processo avvenga da solo?

Allo stato attuale nessuna nazione sta lavorando a piani di riqualificazione professionale per il prossimo futuro. Sembra che la posizione della società non abbia ancora rappresentanti sul tema dell’Intelligenza artificiale. Gli sviluppatori sono semplicemente affascinati dal progresso, il business è orientato al vantaggio competitivo e gli Stati ne stanno alla larga perché il tema non è all’ordine del giorno. La società divisa, assorbita profondamente dalle nuove tecnologie, difende con entusiasmo interessi di nicchia. L’umanità ha trovato il modo di modulare i sistemi chirurgici robotici o progettare smart city, ma non riesce a trovare un valido motivo per effettuare per analisi matematiche sulle conseguenze della sostituzione dei robot.

Per ChatGPT ci sono voluti meno di pochi secondi per restituire un risultato delle professioni che diventeranno obsolete, e l’elenco si avvicina molto a quello che abbiamo fornito sopra. Se si lascia tutto al caso, gli outsider potranno un giorno creare qualche propria startup pericolosa. La buona notizia è che tra gli specialisti IT ci sono alcuni temerari. Ma il punto non è nemmeno che la robotizzazione può diffondere la disoccupazione di massa e portare di conseguenza all’impoverimento della popolazione. Reddito di base e strumenti di welfare possono essere una soluzione nel breve periodo. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. L’umanità ha avviato il progresso tecnologico per migliorare la vita umana. Le tecnologie allungano la vita, la migliorano in alcuni punti, ma la destabilizzano. Sembra che ormai siamo arrivati ​​al punto in cui la psicologia dell’esistenza sta cambiando e dovremmo chiederci: “perché continuiamo?”

Evitare il fallimento della coesistenza umano-robot

Ora è il momento di tornare al punto di partenza e fornire un breve excursus filosofico sul ruolo del potere nella natura umana. Torniamo alla storia. Spinoza considerava il potere come la volontà. Pochi secoli dopo il brutale attivista Kaczynski, attraverso la sua ricerca analitica, ridefinì la comprensione della volontà come processo del potere. Per fare un esempio pratico, possiamo facilmente immaginare le differenti sensazioni quando, per salire su un monte per godere di un paesaggio, decidiamo di raggiungerlo a piedi o in funicolare. In entrambi i casi ci si godrà il panorama, ma i livelli di soddisfazione sono profondamente diversi. A causare l’effetto della disfunzione della dopamina c’è la mancanza degli obiettivi il cui raggiungimento richiede sforzi reali. Questo per dire che gli esseri umani hanno bisogno di far parte del processo, e questo deriva dalla natura biologica.

Lo psicologo David McClelland ha enfatizzato il bisogno di potere descrivendolo come il desiderio di controllare il processo per raggiungere gli obiettivi più elevati.

Il potere senza partecipazione al processo è un elemento decorativo. Quindi, possiamo semplicemente riconoscere che escludendo un essere umano dal processo di produzione ci priviamo del potere. Delegare il lavoro ai sistemi di intelligenza artificiale attraverso la ricerca del comfort e la non partecipazione al processo di produzione può portarci all’insensatezza.

A questo punto possiamo concludere che la facilitazione creata dalla rivoluzione tecnologica ci porta alla rivoluzione etica. Questo non significa interrompere il processo di implementazione dell’intelligenza artificiale nella vita quotidiana. Significa però che è necessario un quadro normativo di applicazione dell’Intelligenza artificiale, e una vera discussione pubblica a livello nazionale e globale, che sia finalizzata all’impostazione di soluzioni alle più che probabili conseguenze sulla società della diffusione dell’Intelligenza artificiale. E questo è nell’interesse di tutte le parti interessate: cittadini, legislatori, imprese, lavoratori. Gli sviluppatori si proteggono dai rischi. Se la società rifiuterà l’innovazione, il progetto sarà destinato a fallire perciò solo attraverso un coinvolgimento nel processo di deliberazione verrà ripristinato il controllo del potere evitando un fallimento della coesistenza essere umano-robot.

AI4Business

50 anni fa come oggi al fianco dell’industria

Il 5 maggio del 1971 la prima pagina del Corriere della Sera ospitava un editoriale dal titolo ‘I pericoli della tecnologia’: nell’articolo si annunciava ‘la fine del mito della scienza considerata potere dell’uomo sulla natura e la società’ e la chiusura dell’epoca della ‘venerazione tecnologica che ha causato danni quali l’urbanesimo, la distruzione dell’ambiente naturale, il divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri o tra regioni sviluppate e depresse’ denunciando che i vantaggi di una ricerca scientifica e tecnologica efficiente non erano tangibili a differenza, invece, degli svantaggi come l’inquinamento dei fiumi e le crisi sociali generate dall’inefficienza delle istituzioni nel gestire gli sviluppi tecnologici e industriali.

Nel 1971 il mondo intero stava attraversando una importante fase di transizione: c’era stata la grande svolta della fine del sistema di Bretton Woods con lo stravolgimento dei rapporti finanziari e monetari creati nell’immediato dopoguerra, negli Stati Uniti partivano le spinte protezionistiche, la Cina venne ammessa al Consiglio di Sicurezza dell’ONU aprendo un nuovo orizzonte geoeconomico e il mondo occidentale era ormai alle soglie della crisi petrolifera del 1973 che determinò il rincaro dei prezzi di tutte le materie prime andando a colpire fortemente il ruolo produttivo dell’Italia, e della Lombardia in particolare in quanto regione più industrializzata.

Quello stesso anno in Italia venne approvata la nuova legge tributaria che introduceva l’IRPEF, ILOR, e l’IVA, istituite le scuole materne e gli asili nido comunali e introdotta la tutela delle madri lavoratrici, oltre alla storica nuova legge sulla casa che rivoluzionò l’edilizia.

Le importanti sfide che caratterizzavano quell’epoca, la nascita nel 1970 di Regione Lombardia e la necessità di dare una rappresentanza alle istanze crescenti della regione più industrializzata d’Italia, furono i motivi che portarono alla creazione, nel 1971, di Confindustria Lombardia. La Lombardia di allora non era poi così differente, in termini di autorevolezza e peso industriale, rispetto a quella che conosciamo oggi. Era già la prima regione italiana per PIL, prima anche per numero di unità locali e addetti con il 17% delle imprese a livello nazionale e 2,6 milioni di lavoratori (il 24% del totale italiano). Già nel 1971 questo primato era trainato dal manifatturiero: il numero totale di addetti alle attività manifatturiere in Lombardia era di 1,6 milioni di lavoratori. A 50 anni di distanza, la nostra regione mantiene il primato quale centro produttivo, con 884mila unità locali, il 19% delle imprese a livello nazionale, e 3,8 milioni di addetti, il 22% del totale italiano a fronte di una popolazione che vale il 17% del totale. La Lombardia oggi produce il 22% del Pil nazionale e rimane la prima regione italiana per addetti alle attività manifatturiere: oggi sono quasi 904mila gli addetti manifatturieri nella regione, il 24% del totale nazionale.

Oggi come ieri la ragion d’essere di rappresentanze industriali come Confindustria Lombardia è, se vogliamo, ancor più strategica. Nel 2021 i ‘pericoli della tecnologia’ e le paure del nuovo hanno nomi e sembianze diverse ma il meccanismo è lo stesso di allora: il 5G, l’automazione, e l’Intelligenza artificiale – per fare tre esempi di innovazioni tra le più note – vengono talvolta individuati come future fonti di inquinamento, disoccupazione di massa, fine di determinate professioni o deindustrializzazione, ma tra qualche decennio saranno parte della nostra quotidianità così come oggi lo sono le conquiste tecnologiche osteggiate sulle prime pagine dei quotidiani del ‘71.

Anche le sfide che abbiamo di fronte, o nelle quali siamo già immersi, sono altrettanto epocali come lo erano quelle di cinquanta anni fa. Sul fronte dell’uguaglianza di genere c’è ancora molto da fare se, come emerso da un recente studio dell’Università Bocconi, il contesto dell’emergenza sanitaria non ha favorito lo sviluppo della leadership femminile poiché le donne sono spesso state costrette ad assumere doppie responsabilità. Il supply shock generato dalla pandemia ha imposto un riassetto delle catene globali del valore le cui conseguenze sono emerse nelle difficoltà negli approvvigionamenti di materie prime o di componenti fondamentali per l’industria. Inoltre, ci troviamo, oggi come allora, nel pieno di una crisi – altrimenti detta ‘transizione’ – energetica, e di una rivoluzione tecnologica e sostenibile che cambierà il modo di produrre delle aziende e avrà un impatto importante anche sui nostri stili di vita, come emerso anche al recente Forum per lo Sviluppo Sostenibile di Regione Lombardia.

Siamo quindi nuovamente a un punto cruciale della storia dove rischi e opportunità, innovazione e paura del cambiamento, prospettive di un’industria 100% sostenibile e di una catastrofica deindustrializzazione si bilanciano – si veda ad esempio la controversa misura europea sul Fit for 55 -. E’ proprio in queste fasi storiche che attori sociali come Confindustria Lombardia hanno il compito di fornire gli strumenti per tradurre i rischi in opportunità, superare scetticismi e resistenze nei confronti delle innovazioni utili al progresso, e la responsabilità di indicare la direzione da prendere quando vi si trova a un bivio. Questo grazie alla consapevolezza, e all’esperienza, di chi ogni giorno vive la realtà delle fabbriche e dei mercati globali senza paraocchi ideologici. Ma è soprattutto un nostro onore continuare a tutelare e valorizzare l’industria lombarda – e italiana – come fatto nel corso dei primi 50 anni della nostra storia.

Rapporto Freedom House 2013: in Italia il web è libero

L’Ong Freedom House ha pubblicato come ogni anno il Rapporto sulla libertà del web nel mondo. In una scala da 0 (più libero) a 100 (meno libero) all’Italia viene assegnato un punteggio di 23 che ci pone al 9° posto della speciale classifica con il giudizio ‘Free’. L’Italia si colloca quindi prima dell’Inghilterra e subito dopo Paesi, nell’ordine, come Islanda, Estonia, Germania, Stati Uniti, Australia, Francia, Giappone e Ungheria.

Questi le chiavi dello sviluppo individuati da Freedom House:

  • Nonostante limitati progressi, l’Italia continua a rimanere dietro agli altri paesi europei in termini di penetrazione di internet e diffusione della banda larga;
  • La Corte di Cassazione recentemente ha dichiarato non applicabile ai blog una legge del 1948 riguardante la ‘stampa clandestina’. Ciò a contribuito ad allentare le paure sul temuto oscuramento dei blog per mancata registrazione presso le autorità competenti;
  • I social network e i blog hanno contribuito al successo del neonato Movimento 5 Stelle alle elezioni parlamentari del febbraio 2013, durante le quali il movimento ha ricevuto più voti degli altri singoli partiti;
  • Il Tribunale di Livorno ha recentemente dichiarato che insultare qualcuno su face book può essere considerato reato di diffamazione;

Freedom House elenca inoltre i principali limiti sui contenuti presenti in Italia:

  • La possibilità di bloccare i siti web a causa di diffamazione o violazione del copyright;
  • Piccole restrizioni riguardanti contenuti politici

 Leggi l’intero Rapporto 2013 Immagine

How Crowdfunding empowers customers: three cases from the US

Customers with doubts about how crowdfunding could serve you? Crowdsourcing.org, a ‘neutral organization dedicated to crowdsourcing and crowdfunding’, has the answers to your questions. As everyone knows Crowdfunding is drastically changing the way entrepreneurs, young ones, big ones, and artists too, can finance their projects and smart ideas. But this new way of doing business is not only on the entrepreneurs side. Crowdfunding is empowering the customers too.

The backers, through their donations, are changing markets lives bringing unique and innovative products into them.

As we know, entrepreneurs have a strong tool in their hand which allow them to avoid investments on unused products. But, seen from the customers’ side, crowdfunding looks even more challenging and interesting.

Let’s take a look at these three successful examples:

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